COP27, un pericoloso fallimento planetario che rischia, per il poco coraggio dimostrato dagli Stati, di far esplodere il pianeta. Nonostante si sia chiusa con due giorni di ritardo la conferenza di Sharm El Sheikh, riunione planetaria che doveva fissare nuovi e coraggiosi obiettivi per contrastare i cambiamenti climatici si è conclusa con un nulla di fatto. Unica nota positiva, a cui però manca concretezza, è il fondo Loss & Damage deciso per compensare i paesi poveri dai danni subiti, finanziato agli Stati che sono maggiori produttori di emissioni clima alteranti.
Quella che è apparsa subito chiaro è stata la volontà di non decidere provvedimenti che potessero mettere in pericolo le economie dei paesi più industrializzati, già in crisi a causa della guerra in Ucraina. Quindi l’economia e gli interessi della grande finanza, sono riusciti, ancora una volta a prevalere sul buon senso e sull’urgenza, scontentando ONU e Commissione Europea. Una conferenza decisamente tutta in salita, sia per la discussa sede in Egitto, un paese che non rispetta i diritti umani, che per la risaputa quanto disattesa necessità di agire.
Siamo arrivati a una situazione paradossale ma diffusa, che porta a curare gli effetti del problema senza dimostrare la volontà di occuparsi seriamente delle cause. Come dimostra l’unico provvedimento di rilievo che è stato adottato, cercando di porre rimedio ai danni subiti dai paesi delle aree più povere, come l’Africa sub sahariana. Ora ci vorranno ulteriori dodici mesi per arrivare a una nuova conferenza, un tempo sarà sempre troppo lungo rispetto alle urgenze.
COP27, un pericoloso fallimento planetario nell’indifferenza dei protagonisti, incapaci di vere scelte
In un articolo pubblicato da Repubblica si da notizia di scontri durissimi fra i partecipanti, divisi fra paesi ricchi e poveri da una profonda frattura. Nella consapevolezza che saranno proprio questi ultimi a pagare il prezzo più alto dai cambiamenti climatici, come già sta succedendo ora. Alluvioni, siccità e carestie stanno colpendo duramente il Sud del mondo in modo molto più preoccupante e micidiale di quanto stia succedendo nei paesi ricchi.
“A Sharm abbiamo visto un esplicito tentativo da parte di imprese e paesi produttori di gas e petrolio di rallentare una transizione necessaria e ormai inevitabile”, dice Giulia Giordano, responsabile dei programmi internazionali del think thank italiano Ecco.
Questi erano gli obiettivi, quasi completamente disattesi, dell’Unione Europea per COP27:
mitigazione: mantenere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali
adattamento: stabilire un programma d’azione globale rafforzato in materia di adattamento
finanziamenti: esaminare i progressi compiuti in relazione alla messa a disposizione di 100 miliardi di USD all’anno entro il 2025 per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici
collaborazione: assicurare un’adeguata rappresentazione di tutti i pertinenti portatori di interessi nella COP 27, soprattutto delle comunità vulnerabili
Qualcuno dovrà spiegare alle giovani generazioni le motivazioni del disastro
Questi giorni sono l’esemplificazione del paradosso che stiamo vivendo, sotto il profilo climatico ma anche dell’equità e dei diritti. La COP27 fatta in Egitto, uno stato dove è impossibile parlare di equità e diritti e i mondiali di calcio che si aprono in Qatar, uno regime illiberale, dove anche gli stadi all’aperto sono dotati di impianti per il condizionamento. Uno Stato, il Qatar, con un’impronta ecologica incompatibile con l’attuale situazione climatica. Eppure, per un gioco delle parti, sono proprio questi due paesi ad avere ottenuto l’attenzione del mondo.
Guerra, agricoltura, allevamenti e ambiente: tutti gli ingredienti di una miscela esplosiva pronta a detonare sull’intera umanità. I conflitti non sono soltanto crudeli e disumani, ma sono capaci di innescare reazioni a catena difficilmente prevedibili. I danni che deriveranno da questo conflitto europeo sono ancora incerti, anche se gli scenari stanno delineando che nulla sarà più come prima. L’Europa dovrà rivedere politiche economiche, energetiche e agricole e questo andrà a incidere in modo pesante sull’economia dei cittadini e sulle misure per contrastare il cambiamento climatico.
Dopo le prime scene apocalittiche di una guerra che si pensava non dovesse accadere, si è subito capito che questi missili avrebbero cambiato per sempre le scelte e i mercati. Mettendo a nudo che le nostre politiche, ma non solo le nostre, basate sulla certezza che non ci sarebbe mai stato un conflitto ai nostri confini. Da decenni l’Europa non è più autonoma né sotto il profilo alimentare, né sotto quello energetico. Senza grano e mais proveniente dall’Ucraina non abbiamo, ad esempio, risorse sufficienti per gli uomini e per gli animali. E senza il gas russo rischiamo di dover tornare all’uso del carbone. Un danno sotto il profilo ambientale di non poco conto, considerando che questa situazione non riguarderà solo l’Italia.
In questo momento la PAC (politica agricola comunitaria) ha infatti deciso di sbloccare a livello europeo 4 milioni di ettari di terreni agricoli che erano lasciati a riposo. Quindi campi non sottoposti a coltivazione per evitare eccessi nella produzione. Questa scelta aveva portato a lasciare incolti nel nostro paese circa 200.000 ettari, che ora saranno nuovamente utilizzati per produrre grano, mais, girasoli e quant’altro. Accrescendo così l’estensione dei terreni inevitabilmente sottratti alla naturalizzazione. Per coltivare cereali in buona parte destinati all’alimentazione degli animali da allevamento.
Guerra, agricoltura, allevamenti e ambiente: quattro parole che giocate sullo stesso tavolo daranno vita a un cambiamento delle priorità
Per dirla con le parole di Papa Francesco i politici sono quelli che decidono, i poveri sono quelli che muoiono, in silenzio come hanno quasi sempre fatto. Le crisi economiche e ambientali sono sempre pagate prima di tutto dai poveri, che hanno minori mezzi per affrontarne le conseguenze. Passando dall’essere disperati, senza casa né futuro, a diventare corpi senza possibilità di avere nutrimento. Come accadrà presto in Africa, dove il grano dell’Ucraina è una risorsa irrinunciabile, proprio in un continente stremato da siccità e devastato da altre guerre. Eppure nessuno ha alzato una voce autorevole per dire che le proteine vanno usate per sfamare le persone, non per l’alimentazione degli animali negli allevamenti intensivi.
Una realtà, questa guerra, che rischia già da sola di creare fenomeni migratori senza precedenti, capaci di strangolare il vecchio mondo e non soltanto quello. Se al rischio alimentare, già agitato a gran voce dalle Nazioni Unite, si aggiungerà un pesante rallentamento nella lotta ai cambiamenti climatici si sarà dato vita alla tempesta perfetta. Ogni centimetro di innalzamento di mari e oceani sarà causa di un effetto domino gravissimo. Le due pressioni unite daranno luogo a grandissime migrazioni, al cui confronto l’attuale dramma dei profughi ucraini costituirà, con i suoi quattro milioni di sfollati, solo un antipasto.
Questa guerra insensata e vergognosa, come tutte le guerre e più di altre, ci ha messo di fronte alla fragilità di un sistema economico basato su scelte errate. Decisioni solo apparentemente solide e ragionevoli. Basate sul profitto e non sulla lungimiranza, tant’è che solo ora che si vorrebbero cambiare ci si accorge dei tempi necessari per farlo. In momenti eccezionali come questi ci vorrebbero, a livello planetario, uomini adeguati allo scenario. Invece ci troviamo guidati da mestieranti, dei quali forse non ci si fida ma che per essere cambiati hanno bisogno di tempi. Un paradosso, forse, ma tanto reale da non far nemmeno sorridere.
Cambiare alimentazione è una scelta: se vogliamo ridurre emissioni, usare meglio le proteine bisogna chiudere gli allevamenti intensivi
Decisione non semplice, ma sempre più inevitabile, non per accontentare gli animalisti e gli ecologisti ma per poter continuare a dare un senso alla parola futuro. Senza poter pensare nemmeno per un attimo di ritardare decisioni che vadano nella giusta direzione per il contrasto ai cambiamenti climatici. Dobbiamo abolire le guerre, come dice Francesco, per evitare l’autodistruzione, ma occorre anche che sia garantita l’equità climatica, la suddivisione delle ricchezze, l’accesso all’acqua pulita. Condizioni senza le quali la povertà dilagherà come un ciclone, terremotando la fragile architettura sociale.
Ora è il tempo in cui occorre stare attenti a non restare affascinati dalle sirene di certa informazione. Che racconta dell’importanza degli allevamenti per produrre concimi (quelli chimici hanno avuto un’impennata dei costi) o biogas. Produzioni che sono sempre state giudicate residuali, ma che ora vengono agitate come il rimedio. La scelta di proseguire su questa strada si rivelerebbe in breve pericolosa e inutile. Ora è il tempo di fare scelte coraggiose, a tutto campo, che siano diverse da quella globalizzazione che in pochi decenni sta distruggendo il pianeta.
La tragedia Ucraina: persone, spesso con i loro animali, costrette a scappare da una guerra che pochi si immaginavano potesse arrivare in Europa. Dai media rimbalzano immagini, purtroppo familiari, che non credevamo però possibili riguardassero il vecchio continente. Centinaia di migliaia di persone sono in fuga dalle loro case, spesso portando con se i propri animali, che non sono stati abbandonati. Tanto da far temporaneamente sospendere le regole europee, che consentono il transito di animali extra UE solo con passaporto e test sanitari.
Vedere persone disperate attraversare i confini per trovare asilo negli Stati della Comunità Europea, con in braccio un cane o un gatto, nonostante le difficoltà, commuove ancora di più. Dimostra ancora una volta che i nostri animali sono compagni di vita, che confortano e consolano anche in situazioni estreme. Nulla è più tragico della guerra e del dover scappare dal proprio paese lasciando indietro le proprie vite.
Qualcuno dice che la guerra in Ucraina è soltanto una delle tante guerre che hanno insanguinato il mondo dopo la tragedia della Seconda Guerra mondiale. Nella realtà è vero solo a metà, perché dalla fine del conflitto mondiale mai si era stati così vicini a una guerra globale e catastrofica, che potrebbe avere conseguenze planetarie e devastanti. Nulla di paragonabile con la Corea o la crisi dei missili a Cuba.
Ma la tragedia Ucraina non è solo un disastro umanitario: la guerra ha aggravato la crisi ambientale
La tragedia Ucraina non riguarda solo uomini e animali in fuga da un paese bombardato e allo stremo. Riguarda l’intero pianeta per le inevitabili conseguenze che si verranno a creare sotto il profilo dei cambiamenti climatici. Se ne parla poco, annichiliti di fronte a questa tragedia, ma è inutile negare che nulla potrà più essere come prima. La guerra in Ucraina avrà un effetto drammatico non solo sulla popolazione di quel paese ma sui futuri equilibri geopolitici. Un fatto che rallenterà in modo consistente la transizione ecologica, soprattutto per quanto riguarderà le scelte energetiche. E non soltanto.
Ma non saranno soltanto le scelte energetiche che andranno controcorrente rispetto alla necessità di imboccare una reale transizione ecologica. Questa guerra avrà un forte impatto sulle casse sia pubbliche che private, quale che sia la sua durata, che tutti sperano breve. Ci saranno quindi minori risorse per affrontare i temi legati ai cambiamenti climatici, in economie già messe a dura prova dalla pandemia.
Come sempre accade sono i popoli a pagare le scelte e il mancato coraggio della politica, ma questa volta potrebbe esserci un disastro alle porte
Se colpisce l’anima vedere i profughi ucraini con i loro animali, che si stringono al petto come fossero degli amuleti, si resta muti e attoniti guardando al futuro. Un futuro che in pochissimi anni è cambiato, tragicamente in peggio, lasciando allo scoperto tutti gli errori causati dalla poca lungimiranza. Scelte non fatte che andranno a incidere in modo molto pesante sulle giovani generazioni, che si troveranno sul tavolo i problemi di un secolo di rinvii e di distruzioni.
Cerchiamo di far diventare questa tragedia un’occasione di cambiamento, capace di creare collettività nuove, più aperte e più inclusive. Perché nessuno si salva da solo.
Giovani e cambiamenti climatici: protestano i ragazzi di tutto il mondo stufi di sentire promesse vuote. I discorsi e le decisioni usciti dalle riunioni del G20 e dalla COP26 di Glasgow sono stati letti come una presa in giro. Parole rassicuranti che nascondono una realtà inquietante, fatta di promesse non mantenute e di promesse vane. Che non serviranno a contenere l’innalzamento della temperatura del pianeta, al di là di quello che politica e molta parte dell’informazione vogliono far credere.
I ragazzi non si fanno prendere in giro, non credono alle promesse fatte da chi in fondo non rischia nulla. I governanti di oggi, per età anagrafica, forse mangeranno solo l’antipasto di questo indigesto banchetto, mentre i ragazzi volenti o nolenti saranno costretti a doversi mangiare tutte le portate. Con un menù studiato da chi governa ora, che i giovani non possono cambiare. Non ora, non con questo stato di cose, salvo che decidano di aggregarsi dando vita a qualcosa di nuovo, di imprevisto.
Questa volta i giovani potrebbero fare la differenza perché il potere di aggregazione di diffusione delle informazioni è cambiato. Il mondo globalizzato che ci sta distruggendo può diventare la loro arma più potente. Consentendo sinergie e azioni contemporanee che potrebbero prendere forma in ogni angolo del globo. La paura di non avere futuro potrebbe fare da catalizzatore in un modo impensato per molti, con possibilità di dare grandi risultati.
I giovani protestano per i cambiamenti climatici, ma potrebbero essere capaci di diventare il granello di sabbia che ferma l’ingranaggio
In fondo gli adulti, quelli che governano attualmente, vivono in un mondo diverso e forse non riescono nemmeno a immaginare le potenzialità di una rete di giovani interconnessi. Di una moltitudine di ragazzi che in ogni angolo del pianeta inizi a organizzare proteste pacifiche, che paralizzino una serie di attività, anche economiche. Pur di obbligare la politica a rendersi conto che la commedia andata in scena durante la COP26 non ha convinto proprio nessuno, mettendo in luce la volontà di realizzare cambiamenti temporalmente incompatibili con la realtà.
Oggi la Cina dichiara di voler incrementare l’utilizzo di carbone, pur essendo uno dei maggiori produttori di energie rinnovabili. Promettendo di arrivare alla decarbonizzazione entro il 2050. L’India, uno dei tre Stati che causano maggior inquinamento, non fermerà l’uso del carbone sino al 2070. Quando i ventenni di oggi avranno settant’anni e avranno fatto a tempo a pagare ogni centesimo del danno climatico che gli abbiamo lasciato.
Una vera rivoluzione verde è necessaria e saranno i giovani a metterla in atto, insieme a quella piccola parte di mondo adulto consapevole
I giovani hanno il coraggio che deriva dal non avere nulla da perdere, dall’essere ancora estranei alla logica del compromesso. Quella logica che ha corrotto il mondo, ha messo le basi per arrivare alla catastrofe. La politica mondiale oramai è questa, una volta per molto meno, si sarebbero accesi conflitti planetari, mentre oggi vengono lasciati solo piccoli focolai di guerra, dove sono le armi a parlare. E in genere avvengono nei paesi poveri e sfruttati. Per tutto il resto ci pensa la diplomazia del compromesso, quella che ha oramai permeato le nostre società.
La Cina è una dittatura, non rispetta i diritti umani e non è un paese democratico: nonostante questo l’abbiamo fatta diventare la fabbrica del mondo, inquinante e con città che hanno un’aria irrespirabile. Questo anche a causa del fatto che una buona parte dell’energia, sin a poco tempo fa, era ottenuta bruciando la plastica di scarto dei rifiuti prodotti in Europa. Guardando da fuori queste vicende ben si capiscono le motivazioni che stanno facendo sobbollire la galassia giovanile. Ed è tempo di smetterla con i luoghi comuni che vogliono far credere che i giovani di oggi siano capaci, al massimo, di organizzare rave party illegali.
Gli adulti, i governanti, invece hanno dimostrato di essere bravissimi nel fare teatro ma molto meno nel limitare le emissioni clima alteranti. Ma ora anche importanti organizzazioni come il Fondo Monetario Internazionale iniziano a schierarsi più con Greta Thunberg che non con i governi. Dimostrando quanto la crisi climatica stia diventando una minaccia capace di far implodere l’attuale modello economico. In quella che si va sempre più delineando come la tempesta perfetta. Dove a venir spazzati via certo non saranno solo gli orsi polari.
Storia di Milo, il gatto che andò al Polo Sud è una favola per ragazzi, che dovrebbero leggere anche gli adulti, specie se sono interessati agli animali e alla tutela ambientale. Milo, oltre a essere un felino fortunato è diventato anche un gatto famoso, dopo il precedente libro Storia di Milo, il gatto che non sapeva saltare, diventato un best seller. Ma il gatto nero più famoso d’Italia non è un personaggio di fantasia, inventato da Costanza Rizzacasa, ma è proprio il suo gatto, in pelo, carne ed ossa. Un gattino molto fortunato, anche se con qualche problema di coordinamento motorio, che ha trovato una compagna molto disponibile.
La copertina fa capire subito che Milo condividerà la sua avventura, oltre che con la sua umana, anche con Hielito, un piccolo di pinguino imperatore. Che per una serie di traversie causate da trafficanti di animali, si ritrova molto, ma molto lontano dalla sua casa. Se nella vita ci sono ostacoli. che sono purtroppo insormontabili, il bello di scrivere favole sta proprio nella possibilità di abbatterli. Una storia come questa, scritta come una bella favola, deve prevedere un lieto fine, pericoli, difficoltà e tanti amici che ti possono essere d’aiuto.
Le favole servono anche per raccontare che il bene può vincere, che le difficoltà si possono superare e che, con un pizzico di ottimismo, si riescono a risolvere anche le questioni più intricate. Milo potrà contare, per concludere la sua avventura con il pinguino Hielito, non solo della sua compagna umana ma anche di tantissimi altri animali. Che saranno capaci di insegnare sempre qualcosa di nuovo a Milo, ma soprattutto ai giovani lettori, che scopriranno l’importanza di avere attenzione per l’ambiente, ma anche il valore dell’amicizia e il rispetto per gli animali.
Milo il gatto che andò al Polo Sud, in compagnia di un pinguino, per riportarlo a casa è una metafora della vita
Quando arriverete al fondo di questa storia guarderete le cose in un altro modo. I gatti neri saranno simpatici anche ai più superstiziosi, e avrete fatto qualche riflessione importante sugli animali in genere. Creature che meritano rispetto e attenzione e che, troppo spesso, gli uomini fanno soffrire per profitto. Ma ci sarà un momento in cui vi scoprirete a riflettere sull’importanza di sapere andare oltre, come dice a Milo Andrè, un camminatore che aveva attraversato a piedi le Ande: “Vedi Milo, noi siamo sempre curiosi di sapere cosa ci sarà oltre. E’ questo che ci motiva, che ci fa superare la fatica. La verità si trova sempre oltre la prossima montagna.”
Certo partire da una casetta vicino al mare, alle porte di Roma, e arrivare sino al Polo Sud non sarà uno scherzo. Questa lontananza, il timore dell’insuccesso e di non portare a termine la missione saranno lo stimolo per il piccolo lettore per correre verso la fine del libro. Per scoprire come farà il nostro Milo a riportare fino a casa Hielito e chi saranno tutti gli amici che incontrerà sul suo cammino. Con le loro storie, con i loro guai, che sono quasi sempre causati da noi umani.
La storia di Milo, il gatto che andò al Polo Sud è una favola moderna, ambientata in questi tempi così complicati, per i cambiamenti climatici, per la pandemia, per l’inquinamento. Costanza Rizzacasa d’Orsogna riesce a catturare l’attenzione, scrivendo di temi seri con la capacità di strappare comunque un sorriso, anche se talvolta un po’ agrodolce. E se anche questo libro, come il precedente, girerà il mondo e sarà tradotto in diverse lingue il successo del messaggio ecologista si amplificherà moltissimo.
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