La difficile convivenza con gli orsi in Trentino è come la punta dell’iceberg

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La difficile convivenza con gli orsi in Trentino è come la punta dell’iceberg, che rivela una parte del problema, nascondendo la volontà di dominare la natura. Per meglio comprendere la questione bisogna sgombrare il piano della comunicazione dalla narrazione spesso troppo emotiva, viziata da alcuni falsi miti. Un lungo elenco di affermazioni che si può sintetizzare nell’affermazione, priva di senso, relativa all’eccessivo numero di orsi, ma anche di lupi. Come se l’enunciazione di questo concetto potesse dimostrare la volontà di convivere con i grandi carnivori, purché il loro numero non sia superiore a X. E sotto X si nasconde l’intero iceberg.

I problemi di convivenza non sono dati dai numeri, ma dai comportamenti e far credere il contrario è come nascondere il problema. Se in Trentino ci fosse una popolazione di 50 orsi qualcuno si sentirebbe di garantire che non ci sarebbe la possibilità di incidenti con gli umani? Ma se anche i lupi fossero la metà qualche scienziato potrebbe affermare che sparirebbero le predazioni sugli animali domestici? La risposta è evidentemente negativa, perchè non è una questione di risorse, sovrabbondanti in natura per entrambe le specie, ma di gestione, di regole, di volontà. Eliminare uno, due, dieci orsi soltanto perché questo tranquillizzerebbe la comunità non è la chiave di volta per risolvere il problema.

Continuando a coltivare il falso mito che sia la gestione umana a creare i presupposti della convivenza, si sottrae al discorso la responsabilità dei nostri comportamenti. Si altera il ragionamento spostando sul numero e sulla densità, il problema, ma questa è una scorciatoia per saltare alla conclusione di un ragionamento complesso. Che deve includere la nostra presenza sul territorio, il comportamento un po’ arrogante che ci porta a credere, fin da piccoli, che l’uomo sia il titolare di ogni diritto. Capace di piegare la natura ai suoi bisogni, unico dominatore di un mondo asservito ai nostri bisogni.

La difficile convivenza con gli orsi in Trentino e con i lupi nell’intero stivale rivela la nostra incapacità di creare equilibrio

Molti studiosi cercano di far comprendere il concetto, peraltro non così difficile, che la vita sul pianeta sia fatta di relazioni e di interazioni. Un concetto dal quale non possiamo sottrarci, nemmeno usando tutta la demagogia di questo mondo. Però la polarizzazione del conflitto spesso serve proprio a chi questo ragionamento non lo vuole proprio sentire. Aiutando i politici a assumere il ruolo di paladini di un equilibrio che quasi sempre non hanno idea di come ricreare. Il punto, infatti, non è la gestione ma la divisione, il rispetto degli ambienti, la comprensione del fatto che una parte del territorio appartiene al mondo naturale.

Il punto ora pare la divisione fra quanti vogliono abbattere o imprigionare gli orsi e quanti sostengono che non devono essere toccati. Che descritta così ricorda gli scontri fra tifoserie. Ma non bisogna cadere in questo tranello, che permette di liquidare il problema classificandolo come scelta irrazionalmente emotiva. La chiave di ogni ragionamento sta nel fatto che, tranne l’uomo, gli animali si trovano in equilibrio con l’ambiente che li ospita. Senza questo equilibrio tutto è perduto, sul medio periodo e noi siamo parte di quel tutto.

Certo ci sono le esigenze produttive, esistono le ragioni economiche ma esiste come interesse umano prevalente il poter vivere sul pianeta. Affrontando il problema in modo concreto, urgente e certamente con un grosso prezzo da pagare, non hai predatori, non agli animali ma al ciclo della vita e all’equilibrio. Per questo da tempo il grido d’allarme degli scienziati afferma, inascoltato, che sia necessario proteggere integralmente un terzo di terre emerse e oceani.

Proteggere un terzo di terre emerse e oceani è una necessità, non certamente un capriccio

Guardate con attenzione questo video, non è prodotto da un’associaziuone ambientalista ma dalle Nazioni Unite. Non è un capriccio di pochi, ma è una necessità oramai diventata innegabile.

Abbiamo bisogno di lasciare che almeno un terzo del pianeta sia considerato anbiente naturale intangibile e non possiamo pensare di proteggere il territorio peggiore. Occorre capire che dobbiamo ripiegare, riconsiderare e pensare in modo diverso: non sono orsi e lupi a casa nostra ma siamo noi che abbiamo invaso i loro territori. Un concetto che noi uomini facciamo fatica ad accettare anche quando si tratta dei diritti dei nostri simili. I risultati di questo potere egoistico e straripante è sotto gli occhi di tutti. Pochi però vogliono capire ragioni e cause, ma se scavassero non troverebbero equità e pace, ma denaro e potere.

Per questo, anche per questo, diventa urgente comprendere, analizzare e cercare di capire. Non fermandosi ai titoli ma cercando i contenuti, provando a capire anche quello che non ci piace, come la gravità e l’urgenza di cambiare modelli di vita. Il problema non è l’orso che sbrana un cinghiale o un tenero capriolo, il problema siamo noi che sbraniamo il pianeta e i nostri simili. Serve sottrarre, non aggiungere: meno allevamenti, meno energie fossili, meno arroganza, meno pregiudizi. L’unico ingrediente da aggiungere senza limiti è il rispetto.

Trasporto animali vivi, una sofferenza inutile che l’Italia non vuole cancellare

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Trasporto animali vivi, una sofferenza inutile inflitta solo per profitto che sarebbe facilmente evitabile consentendo il solo trasporto delle carni. Una scelta che contribuirebbe a ridurre i maltrattamenti inflitti agli animali allevati per scopi alimentari, eliminando l’ultimo carico di maltrattamenti costituito dal trasporto. Con animali costretti a viaggiare, stipati su camion, vagoni ferroviari o navi, per essere trasferiti per finire all’ingrasso o al macello.

Mentre l’Europa si interroga sulla necessità di fissare parametri molto più restrittivi sui trasporti di animali vivi, nell’ambito della revisione della normativa posta a tutela degli animali d’allevamento, l’Italia si impunta. Confermando ancora una volta la scarsa attenzione ai diritti degli animali di questo governo, che non può più essere vista come un disinteresse per agevolare taluni settori, ma come una scelta di campo. Gli animali non sono considerati esseri viventi, meritevoli di tutele in quanto senzienti, ma solo punti di PIL privi di diritto. Un concetto applicato a quelli selvatici come a quelli allevati per scopi alimentari.

Protagonista dell’ennesima impuntatura dell’animalsovranismo è stata l’Onorevole Maria Teresa Bellucci, Vice ministra del lavoro e delle Politiche sociali. Intervenuta in aula in vece del ministro Lollobrigida, per rispondere a un’interrogazione dell’onorevole Susanna Cherchi, del M5S, che chiedeva un ripensamento sulle scelte annunciate a favore del trasporto di animali vivi. Che vanno in direzione opposta a quella auspicata dall’Europa per aumentare le tutele, raccontando per l’ennesima volta come l’Italia sia più avanti di altri paesi europei, in una narrazione trita e ritrita quanto falsa.

Il trasporto degli animali vivi è una vergogna, proprio per essere giustificato solo dal profitto, senza alcuna altra motivazione sostenibile

L’idea è che spesso questo governo tratti temi che non conosce a sufficienza, affermando come tutto sia sotto controllo in un settore dove i controlli sono davvero pochi. Scarsi negli allevamenti dovee spesso sono anche poco efficaci, e quasi assenti sulle strade dove il controllo dei mezzi di trasporto con animali viene considerata un’attività complessa e fastidiosa. Messa in atto più per poter fornire dati per le statistiche che non per arginare comportamrenti inaccettabili. Nonostante la buona volontà della Polizia Stradale.

Il vice ministro Bellucci, nel rispondere all’interrogazione, si è vantata che l’Italia da tempo vieta il trasporto di animali vivi quando le temperature superano i 30 C°. Senza dire però quanti sono stati i controlli effettuati nei giorni di fermo e quanti in proprzione rispetto ai movimenti registrati. Un dato non difficile da reperire stante che ogni trasferimento di animali vivi deve essere aiutorizzato con un modello rilasciato dal Servizio Veterinario pubblico. Omettendo anche di dire che quando le temperature esterne superano i 25 C° all’interno dei camion in caso di rallentamenti o soste, possono raggiungere senza difficoltà livelli molto, molto più alti, trasformando i camion in un inferno.

Questo video è tratto dal canale You Tube di Animal Equality ed è interessante ascoltare le dichiarazioni rese all’aula. Raccontando quello che prevede la norma e le diverse forme di attuazione dei controlli, ma senza entrare nel dettaglio delll’effettivo rispetto della normativa. Dimenticandosi parlare di benessere rappresenta l’ennesima alterazione semantica, cercando di addomesticare il significato reale di benessere animale mentre sarebbe più corretto ed opportuno parlare di riduzione del maltrattamento.

Bocconi avvelenati: fenomeno criminale che si sarebbe potuto contrastare grazie a un app

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Bocconi avvelenati: fenomeno criminale che si sarebbe dovuto contrastare anche grazie a un app messa a disposizione dei cittadini da parte del Ministero della Salute. Lo spargimento di sostanze tossiche, sotto forma di esche o bocconi, sta prendendo sempre più piede, diventando un fenomeno rilevante sia per quanto riguarda il bracconaggio che per lo spargimento di tossici nei giardini cittadini. Un crimine molto pericoloso, che non ha un obiettivo preciso se non quello di uccidere animali, accettando così il rischio che uno di questi bocconi possa finire anche nelle mani di un bimbo.

Da tempo i Carabinieri Forestali. e non soltanto, si sono dotati di unità cinofile specializzate nella ricerca di bocconi avvelenati, ma purtroppo sono ancora in numero insufficiente rispetto alle richieste e alle segnalazioni che arrivano dal territorio. Lo spargimento di sostanze tossiche non soltanto è un comportamento irresponsabile ma anche un reato in cui risulta complesso riuscire a individuare i responsabili, Una realtà aggravata dalla possibilità di trovare in qualsiasi garden o negozio di bricolage un campionario sterminato di sostanze tossiche messe liberamente in commercio.

L’App realizzata dal Ministero della Salute integra la raccolta dati del portale avvelenamenti, il cui uso è riservato ai medici veterinari, e potrà aumentare il numero delle segnalazioni. Purtroppo però manca quasi del tutto la parte informativa per i cittadini, che non riescono a ottenere dati utili per tutelare i propri animali. L’applicazione infatti non consente di fare una ricerca per zone, non consente di filtrare il periodo e non fornisce indicazioni sullo stato della segnalazione. Rendendo poco appetibile per il cittadino dotarsi di questa app, che potrebbe invece essere molto utile per le segnalazioni di sospetti casi di avvelenamento.

Bocconi avvelenati, un fenomeno criminale che si poteva contrastare con maggior efficacia investendo meglio sulla tecnologia

Nel mese di ottobre questa nuova applicazione è stata presentata al Ministero della Salute come un’arma importante per combattere gli avvelenamenti dolosi. Dimenticando però come il coinvolgimento dei cittadini passi anche attraverso le utilità che questi ricevono, misurabile in termini di sicurezza per difendere i propri animali, grazie alle informazioni ricevute. La tecnologia avrebbe consentito, davvero con poca spesa di restituire ai cittadini informazioni utilissime. come quelle sugli avvelenamenti in atto, filtrabili per Comune e per data.

Ancora una volta la tutela degli animali avanza con grande lentezza, a dispetto di una tecnologia che consentirebbe molto di più, con minimi investimenti. In sintesi un’occasione persa per diffondere nei proprietari di animali uno strumento e una conoscenza della problematica legata allo spargimento di esche e bocconi avvelenati. In un paese come l’Italia dove la tutela degli animali contro gli avvelenamenti, da 15 anni a questa parte, viene fatta tramite ordinanze del Ministero della Salute. Mancando una legge organica che non solo preveda sanzioni efficaci nei confronti dei responsabili ma metta anche ordine sui prodotti in libera vendita.

Da molti anni chi si occupa di contrastare questo fenomeno chieda che venga emanata una norma chiara, che si smetta di adottare ordinanze, che si crei maggior consapevolezza. Senza ottenere alcun risultato. Continuando a consentire la libera vendita di prodotti altamente tossici e pericolosi anche per la salute pubblica. Prodotti usati per confezionare bocconi avvelenati come rodenticidi, lumachicidi e pesticidi vari si trovano in libera vendita in ogni negozio di giardinaggio del paese. Creando tutti i presupposti per una strage continua e silenziosa di animali selvatici e non soltanto.

Su questi temi bisogna cambiare registro chiedendo l’adozione di provvedimenti efficaci

Per arrivare a un cambiamento vero occorre una norma precisa, una raccolta dati certa con evidenza pubblica, una regolamentazione della vendita dei prodotti pericolosi per uomini, animali e ambiente. In modo da poter finalmente arrivare a un contrasto reale, metodico e efficace di un fenomeno facile da mettere in atto e difficile da reprimere. Coinvolgendo i cittadini nella segnalazione di casi sospetti, dandogli per contro informazioni efficaci per tutelare i propri animali, e i medici veterinari liberi professionisti. Che devono diventare la prima linea delle segnalazioni, considerando che proprio loro ricevono le richieste d’aiuto dei proprietari di animali. Denunciando, sempre, ogni caso di sospetto avvelenamento.

L’avvelenamento è un fenomeno che coinvolge molti ambiti: da quello venatorio alla competizione per i tartufi, dall’eliminazione degli animali randagi alla strage dei rapaci causata dai rodenticidi. Non esistono dati certi sul numero degli animali avvelenati e anche facendo una ricerca in rete si resta disorientati. Si passa da notizie gonfiate, basate su dati inesistenti rilasciati da fantomatiche associazioni, a quelle trovate anche su portali pubblici che sono vecchie di anni. Spesso condite da dichiarazioni trionfali che restano, di fatto, soltanto delle enunciazioni senza seguito.

L’accoglienza entusiastica riservata anche dal mondo veterinario a questa app appare francamente poco comprensibile. Mentre sarebbe davvero importante che fossero resi pubblici i dati sui numeri delle segnalazioni arrivate nel 2022 al Portale degli avvelenamenti da parte di tutte le componenti interessate. Per riuscire a comprendere quanto sia reale la volontà di contrastare gli avvelenamenti e quanto si tratti di operazioni di marketing, che poco risolvono rispetto alla tutela reale e al contrasto a questi atti criminali.

Polli e marketing, le bugie della pubblicità sugli allevamenti intensivi

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Polli e marketing, le bugie della pubblicità alle quali non bisogna credere, come ha dimostrato l’inchiesta di Giulia Innocenzi trasmessa da Report. Scelta per quale occorre sottolineare la correttezza della RAI, che nonostante la Fileni sia un investitore importante, non ha censurato l’inchiesta sull’azienda. Una delle più importanti realtà fra i produttori italiani di polli destinati al consumo, impietosamente messa sotto accusa dalla trasmissione di Sigfrido Ranucci. Chi invece ne esce con le ossa rotte sono purtroppo i polli, ma anche l’azienda e gli organismi di controllo della sanità pubblica.

Il caso di Fileni è solo l’ultimo anello di una lunga catena di abusi che si verificano negli allevamenti intensivi, dove non si parla di singoli episodi di maltrattamento ma di azioni sistematiche. Non episodi di crudeltà costituiti da abusi dei singoli lavoratori, ma decisioni che dipendono dalle catene di comando di queste industrie della carne. Realtà economiche che possono permettersi anche di non rispettare la legge a causa di controlli poco efficaci, di un sistema che tollera anche permanenti carenze strutturali. Ben evidenziate da Report nell’inchiesta che presto diventerà materiale per l’intervento di qualche Procura.

Non bisogna pensare che siano solo i polli o solo Fileni a creare problemi: la realtà sta nel processo produttivo da quando si è trasformato da attività agricola in fabbrica di proteine. Che per definizione deve essere a basso costo, per far fronte a competitor sempre più agguerriti nel dividersi un mercato nel quale la qualità vale commercialmente meno del prezzo, che deve essere basso. Così un pollo da carne impiega per passare da pulcino a spiedino solo 40 giorni, che non possono diventare di più perché i polli non sarebbero più capaci di stare in piedi. La causa? Un petto troppo pesante, molto richiesto dal mercato, che dopo i 40 giorni li farebbe crollare a terra.

Polli e marketing, le bugie della pubblicità, la falsità delle immagini e le operazioni di greenwashing

La pubblicità racconta di polli che vivono come quelli della foto che illustra l’articolo: un falso che non esiste in alcun allevamento intensivo, neppure in quelli bio. Aggravato da una normativa che consente a un produttore di fare pubblicità alla linea bio anche se questa rappresenta una piccola quota della produzione del marchio. In questo modo il consumatore associa quello che, purtroppo, viene considerato solo un prodotto a una bella vita serena, passata all’aria aperta. Una forzatura fatta per nascondere la realtà di sterminati capannoni dove ogni 40 giorni tutti gli animali vengono abbattuti in contemporanea, dopo una vita in condizioni orribili.

Guardando con attenzione le campagne pubblicitarie delle grandi aziende ci si rende conto che il marketing lavora intensamente per modificare la percezione del consumatore. Eliminando gli animali da contesti scomodi, che non li vedano vivere su verdi praterie, per esaltare il solo prodotto. In questo modo il consumatore è portato a farsi meno domande sulla vita dei polli, ma anche sulla qualità di quello che mette sulla tavola. Così, sempre grazie al marketing, finisce che un’azienda come Fileni riesca a diventare sponsor del Jovabeachtour di Lorenzo Cherubini alias Jovanotti. Oggetto di mille critiche dagli ambientalisti anche per questa scelta.

L’azienda Fileni difende il suo operato dicendo che è tutto regolare, fatto secondo normative, senza commettere irregolarità di sorta. Probabilmente la parola fine la scriverà un tribunale, ma a giudicare dall’imbarazzo dimostrato dalle autorità che dovevano controllare sembra proprio che molte cose non andassero per il verso giusto. Le parole hanno sempre un peso, ma le immagini pesano anche di più e sono state viste da milioni di persone. Così, ancora una volta, con l’industria della carne a basso costo finisce alla gogna anche una sanità pubblica che cerca di nascondersi dietro un dito. Quando non sarebbe sufficiente neanche una quinta teatrale a dissimulare uno spettacolo impietoso.

Contro gli allevamenti intensivi i primi a schierarsi sono i cittadini che non li vogliono a casa loro

Secondo la leggenda del mercato i residenti sono grati a chi gli impianta un’industria sotto casa, contribuendo a dare benessere alla comunità. Nella realtà invece le persone si schierano, contestano gli allevamenti, impugnano le autorizzazioni, denunciano le inadempienze, si lamentano per la puzza. Preoccupandosi anche per la loro salute perché secondo gli studi la più probabile nuova pandemia arriverà proprio da una mutazione dell’aviaria. E gli allevamenti intensivi che concentrano centinaia di migliaia di polli, in ambienti angusti, rappresentano il posto ideale per far prosperare i virus.

Jovanotti aveva definito chi lo criticava un eco terrorista, chissà che nel frattempo abbia avuto modo di fare qualche nuova riflessione. Dopo le inchieste di Sabrina Giannini per Indovina chi viene a cena, trasmissione messa in onda sempre dalla RAI, che si è battuta per denunciare quanto poco ecologico fosse il tour. Dopo la trasmissione di Report che ha dato un’immagine non proprio rassicurante del buono e bio! Del resto che un allevamento intensivo stia all’ambiente come Attila alla pace nel mondo è cosa nota. Che però ancora oggi qualcuno cerca di nascondere sotto un tappeto sempre più piccolo.

Difendere i diritti degli animali significa, anche, difendere i diritti dell’uomo perché se non si cambia il paradigma alimentare basato sulle proteine animali non se ne esce. Questa non è più, da tempo, un’esagerazione dei cosiddetti animalisti ma una preoccupazione, oramai diventa un vero e proprio allarme, dell’intero mondo scientifico. Specie quando non messo sotto contratto dalle aziende che ogni anno nel mondo allevano 25 miliardi di polli, tanto per dare un’idea del business.

Morta Kohana, orca prigioniera al Loro Parque sull’isola di Tenerife

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Morta Kohana, un’orca prigioniera del Loro Parque a Tenerife, uno dei tanti parchi tematici del mondo che tengono imprigionati animali per profitto. Con la morte del grande cetaceo, che aveva solo vent’anni, salgono a tre le orche morte prematuramente nel parco negli ultimi 18 mesi, suscitando le proteste delle associazioni. Da anni esiste un movimento di opinione che si oppone alla detenzione dei cetacei nei parchi acquatici, ritenendo che la cattività di questi animali rappresenti un maltrattamento inaccettabile. Tanto da costringere i grandi tour operator a smettere di promuovere gli spettacoli con animali in genere, escludendoli dai pacchetti di viaggio.

Kohana proveniva dal famigerato Sea Wold di Orlando (USA), dove era stata separata dal suo gruppo familiare per essere venduta al Loro Parque. Questi grandi cetacei vengono sfruttati nelle esibizioni, che continuano a attirare un pubblico decisamente poco attento ai diritti degli animali. Trascorrendo la loro vita fra la noia di vasche disadorne e piccolissime e gli addestramenti necessari alla loro esibizione. Una realtà davvero mortificante per mammiferi intelligenti abituati a vivere in gruppi famigliari, denominati POD, con una gerarchia e sempre in costante movimento per procacciarsi il cibo. Una vita ben diversa da quella trascorsa dentro le piccolissime vasche dei parchi acquatici.

Le conoscenze etologiche raggiunte sui cetacei portano a concludere che queste strutture, anche se ancora legali, siano contrarie al concetto di benessere animale. Eppure fra i soggetti responsabili di questi maltrattamenti, oltre alla politica e ai proprietari degli impianti, ci sono proprio gli spettatori. Garantendo con il pagamento di costosi biglietti che la sofferenza diventi spettacolo, per giunta diseducativo, per grandi e bambini. Grazie all’illusione, del tutto estetica, che gli animali imprigionati siano tenuti bene e trascorrano una vita serena. Non esistono delfini che ridono o orche che baciamo gli addestratori, ma solo finzione e sofferenza.

La morte di Kohana, orca prigioniera di un parco acquatico dovrebbe far riflettere sulla sofferenza degli animali in cattività

Le persone spesso riflettono troppo poco sull’afflizione causata dalla cattività, su quella sofferenza spesso muta che non vogliamo vedere, sulla quale non vi è volontà di interrogarsi. Eppure basterebbero poche informazioni, la volontà di fare alcune considerazioni e la capacità di percepire la sofferenza di un animale, affinando empatia e compassione. Unendo poche informazioni, cercando poi di elaborare qualche conseguente considerazione, dovrebbe portare anche chi poco o nulla sa di animali a riuscire a dare corpo e materia alla sofferenza degli animali prigionieri.

Per capire meglio la sofferenza di Kohana, proviamo a cercare, sulla rete, qualche dato sulle orche, ad esempio sui loro rapporti e sulla capacità di elaborare strategie complesse. Una ricerca facile facile, per la quale non occorre essere degli esperti, ma solo banalmente dei curiosi. Una volta trovate con facilità queste informazioni la relazione da costruire è fra la vita libera e quella in una gabbia vuota, dove un’orca come Kohana potrà solo girare in cerchio sino alla prossima sessione di addestramento e negli spettacoli. Che paradossalmente sono gli unici momenti di attività che strappano questi animali a una noia mortale.

Aggiungiamo che le vasche dei cetacei sono piccole, disadorne e prive di diversivi, non per un capriccio ma per cercare di evitare le malattie, che potrebbero esaurire il rendimento che questi animali garantiscono ai loro carcerieri. I cetacei, l’ordine al quale appartengono delfini e orche, stenelle e tursiopi, oltre a molte altre specie che popolano i mari del mondo, possono prendere malattie gravi o ferirsi in cattività. Per questo vengono fatti vivere in prigioni vuote, con acqua trattata chimicamente. Ma le orche sono superpredatori e, al pari dei lupi, sono in costante movimento percorrendo miglia e miglia. Potranno mai vivere bene in una vasca di un parco acquatico?

Rispettare gli animali significa chiedersi se pagare il biglietto per vederli tenuti prigionieri sia moralmente accettabile

La risposta al quesito posto nel titolo è che non esiste una sola ragione che possa portare a giustificare l’ingresso in un parco con animali prigionieri. Fra le tante forme di maltrattamento che noi sapiens infliggiamo agli altri animali le più odiose sono proprio quelle ludiche. Far arricchire chi sfrutta gli animali guadagnando grazie al nostro divertimento è un comportamento eticamente inaccettabile: facendoci diventare i responsabili morali di quella sofferenza, che senza visitatori paganti non avrebbe luogo. Ogni biglietto venduto si trasforma infatti in un mattoncino per costruire e mantenere quella prigione.

Per questo i turisti non devono cedere al fascino apparente e alla spensieratezza che trasmettono parchi acquatici e zoo, sempre più attenti a coreografie che diano al visitatore l’illusione di trovarsi in un ambiente naturale. Sparite le vecchie gabbie sono state inventati nuovi sistemi di contenzione, capaci di eliminare illusoriamente quell’effetto di separazione che esiste fra visitatore e animale. Creando recinti apparentemente ampi, che spesso non possono essere completamente sfruttati dagli animali e che sono inferiori ai loro bisogni. Per diventare un luogo di divertimento apparente una prigione necessità di qualche trucco scenico, che nasconda noia e privazioni, lasciando gli ospiti ben visibili.

Si stanno spendendo molte parole sulla difesa dei diritti animali, ma sono davvero poche le azioni concrete messe in atto per trasformare concetti ridondanti in realtà che garantiscano davvero il loro benessere. Ogni Stato dovrebbe fare la sua parte, con leggi adeguate e controlli accurati, ma chi ha in mano le leve del potere in questo caso sono i cittadini. Esercitando la possibilità, ma anche il dovere, di mettere in campo scelte etiche, basate su empatia e rispetto. Non su quell’amore cieco per gli animali che talvolta produce effetti quasi peggiori dell’odio. Facendo chiudere queste strutture, togliendogli l’ossigeno che le tiene in vita: il nostro denaro e la nostra superficialità.

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