Abbattimento o captivazione permanente: questo è il dilemma spesso eluso

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Abbattimento o captivazione permanente: questo è il dilemma che spesso ci si rifiuta di affrontare. Un tema spinoso che frequentemente non viene dibattuto, quale parlano mal volentieri gli addetti ai lavori in ogni schieramento. Un punto sul quale, invece, sarebbe opportuno pronunciarsi, dopo un ampio dibattito tecnico, non emotivo. Se è vero che decidere per chi non è in grado di farlo è sempre molto difficile, è altrettanto vero che non fissare regole può diventare un paravento. Dietro al quale nascondere la sofferenza. Garantire la vita anche a costo di negare il benessere è una scelta che mi risulta difficile da condividere.

Vale per tutti gli animali destinati a trascorrere una vita dietro le sbarre e per questo credo sia importante, ma anche doveroso, fare una riflessione. Senza preconcetti, basati sulla ponderata valutazione laica di pro e contro fatta da una pluralità di esperti. Se è vero che la cattività, nel caso degli orsi, allontana dalla violenza di uno sparo è altrettanto vero che mette al riparo le nostre coscienze e sensibilità, ma non le loro vite. La sofferenza del giorno per giorno, con gradienti vari e diversi, è la stessa che condanna a morire di noia gli animali di uno zoo. Quella che resta visibile nei sentieri scavati dalle zampe sul terreno dei recinti, sempre gli stessi, percorsi in modo ripetuto, quasi ossessivo.

Scelta sicuramente difficile come tutti i pensieri che le gravitano intorno, che non può essere elusa semplicemente al grido di “lasciamoli liberi”. Certo questa sarebbe la soluzione migliore, ma quando si arriva a un punto nel quale bisogna scegliere fra vita e morte, lì non ci sono terze vie. Non esiste più, nemmeno per noi, la possibilità di non esprimerci, di non scegliere, in nome dell’etica o della convenienza. Un bivio di fronte al quale bisogna decidere che strada imboccare, nell’interesse degli animali.

Abbattimento o captivazione permanente: scelte che mettono di fronte a un bivio etico

Del resto che la cattività rappresenti molto spesso una prigionia dai risvolti crudeli viene detto a chiare lettere quando, ad esempio, si parla di zoo e delfinari. Ma non in modo netto quando i detenuti sono rinchiusi a vita in altri luoghi, come santuari per orsi, solo per restare sul tema, o anche canili. Il baratto etico che sta alla base di questa differenza di valutazioni è la giustificazione dell’aver salva la vita, ma non è la “motivazione” della detenzione a cambiare o attenuare la sofferenza. La differenza cambia quando vi è una piena e consapevole analisi del benessere garantito dalle condizioni di detenzione. Che non può essere valutato solo sulla base dello spazio a disposizione o su criteri estetici.

Per fare una valutazione complessiva occore tenere presente l’etologia della specie e la sua origine: un conto è un animale selvatico che proviene da anni di cattività o da riproduzioni in cattività e altro è un soggetto di cattura. Bisogna valutare le caratteristiche della struttura e le condizioni di vita offerte, il tempo che si può dedicare alle interazioni o alla creazione di continui diversivi. In cattività la noia uccide, prova un animale nello spirito, lo riduce a un simulacro dell’animale che sarebbe stato se avesse vissuto libero.

Esistono sistemi per realizzare misurazioni e valutazioni scientifiche sul livello di stress che genera la cattività, esaminando per esempio i livelli del cortisolo.

La definizione di “benessere animale” e le modalità di determinazione di tale parametro sono ancora ampiamente dibattute. C’è, però, una generale concordanza sul fatto che una condizione di malessere dia origine a variazioni fisiologiche e comportamentali che possono essere rilevate e misurate. Tra i parametri endocrini, il più studiato è, senza dubbio, il cortisolo, in quanto connesso con l’attivazione dell’asse ipotalamico-pituitario-surrenale in condizioni di stress e quindi ritenuto indicatore ideale di benessere, benché debba essere utilizzato con cautela in quanto un aumento dei livelli di questo ormone non si verifica con ogni tipo di stressor.

Viggiani, Roberta (2008) La determinazione del cortisolo nel pelo per la valutazione del benessere animale, [Dissertation thesis], Alma Mater Studiorum Università di Bologna.

Il focus deve essere il benessere garantibile e non la sola esistenza in vita

Sarebbe tempo di fare ragionamenti a tutto campo, mettendo al centro i bisogni e il benessere degli animali, non l’accondiscendenza verso la componente emotiva. Questo, se pensiamo che anche un pesce rosso nella boccia possa essere sofferente e maltrattato, deve essere il primo punto dal quale far nascere una riflessione. L’argomento è spinoso, ma ritornando agli orsi qualcuno potrebbe mai pensare che la detenzione di M49 a Casteller sia compatibile con il suo benessere?

La questione è complessa e certo l’articolo non ha la pretesa di indicare la via, ma solo di stimolare una vera e complessiva riflessione che faccia aprire un dibattito a tutto tondo. La difesa della vita oltre ogni altra considerazione non può essere vista come una motivazione sufficiente a far detenere a vita animali nelle strutture. La difesa della vita non può diventare una motivazione che giustifichi la detenzione in qualsiasi condizione, non può far chiudere gli occhi davanti alla sofferenza.

Su questi temi un dibattito serio sarebbe auspicabile e urgente, coraggioso e necessario. Un dovere ineludibile, specie nel momento che sono sempre gli uomini a decidere cosa tocchi in sorte agli animali.

Orsi del Trentino, deportazione di massa possibile secondo il ministro dell’ambiente

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Orsi del Trentino, deportazione di massa possibile secondo il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto, secondo quanto comunicato dopo una riunione congiunta con PAT e ISPRA. Un’ipotesi quella della deportazione che si potrebbe definire fantasiosa, visto che non si capisce come, ma soprattutto dove, potrebbero essere traslocati gli orsi in esubero. Passa quindi un concetto di gestione del progetto basato sui numeri dei plantigradi e non sulla pacifica convivenza.

Da quanto emerge dalle comunicazioni appare chiaro come si voglia scaricare sull’orso ogni responsabilità, sacrificandolo sull’altare della difesa di una gestione pessima. Senza fare una valutazione sulle responsabilità della Provincia Autonoma di Trento che ha completamente omesso di fare informazione e educazione. Un brutto precedente, considerando anche il coinvolgimento di quello che una volta era il ministero dell’ambiente, che aggiunge nuove indicazioni sulla modalità di tutela faunistica scelte da questo governo.

Questo tipo di gestione ambientale sembra più mutuato dal gioco del Risiko che da reali competenza sul problema affrontato. Come dimostra l’idea di far autorizzare lo spray urticante anti orso per darlo in dotazione alle forze dell’ordine! Sembra una barzelletta ma questa decisione emerge chiaramente dal comunicato stampa della PAT, che riporta questa decisione come innovativa. Ignorando che questo tipo di dotazione sarewbbe decisamente utile agli escursionisti piuttosto che ai poliziotti, come avviene in altre parti del mondo.

Orsi del Trentino a rischio di deportazione oppure utili strumenti per creare disinformazione?

Escludendo che possa essere la sola incompetenza a gestire il flusso di informazioni che stanno circolando in questi giorni sul tema orsi, speculando su una disgrazia probabilmente evitabile, cosa resta? La volontà di utilizzare un momento di tensione, creato dall’incidente, per potersi sottrarre alle responsabilità politiche di un fallimento, che non è certo imputabile agli orsi. Sono anni che la giunta guidata da Maurizio Fugatti non muove un dito per agevolare la convivenza pacifica fra uomini e orsi. Stimolando nei trentini la diffidenza verso gli orsi, senza creare le condizioni per vivere il territorio in sicurezza, comprendendo l’importanza dell’orso.

Il ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, ha incontrato questa mattina il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti. (…) Il presidente Fugatti ha evidenziato al Ministro la necessità di portare il progetto di reintroduzione dell’orso in Trentino, risalente al 1999, al suo obiettivo originario. Il ministro ha confermato la piena collaborazione del Ministero dell’Ambiente e ha raccomandato al presidente Fugatti la massima condivisione con Ispra delle procedure che porteranno all’individuazione dei soggetti ritenuti potenzialmente pericolosi per l’uomo, già responsabili di atteggiamenti aggressivi, nei confronti dei quali il presidente della Provincia ha la facoltà di adottare misure di abbattimento.

Tratto dal comunicato stampa della Provincia Autonoma di Trento

Dalla riunione emergono le due linee principali: abbattimenti e trasloco degli orsi in esubero verso una destinazione tanto sconosciuta quanto di improbabile realizzazione. Il fatto sorprendente, seppur non nuovo, è che il ministero dell’ambiente sia schierato inopinatamente dalla parte dell’amministrazione trentina. Andando contro a ogni logica di tutela ambientale che vede nell’insegnamento alla convivenza il principale strumento di protezione. Ministro che quando parla di ipotesi come quella di traslocare gli orsi dovrebbe indicare, per serietà politica, anche dove pensa di poterli trasferire. La storia di questi orsi è iniziata con una favola per svoltare in tragedia e ora qualcuno sembra volerla far finire in farsa.

Orsi e lupi sono sovrabbondanti: parola di ministro Lollobrigida

orsi lupi sono sovrabbondanti

Orsi e lupi sono sovrabbondanti nel nostro paese, secondo quanto ha affermato il neo ministro all’Agricoltura e alla Sovranità Alimentare durante un incontro in Alto Adige. Una dichiarazione, che oltre a far sorridere per il concetto espresso con un termine scientificamente improbabile, sicuramente non fa presagire tempi sereni per la fauna. Del resto questo era chiaro già prima delle elezioni, quindi chi ha votato la coalizione ha implicitamente approvato l’idea di un uomo sempre più padrone del territorio. Un antropocentrismo che da anni è contenuto nel lessico dei due maggiori partiti di questo inedito governo.

“Noi dobbiamo proteggere le specie in estinzione, ma non incrementare le specie che possono essere dannose per allevatori e produzione nazionali. È evidente che se 30 anni fa alcune specie erano in estinzione, oggi sono sovrabbondanti, quindi bisogna affrontare il problema con pragmatismo e senza ideologia, che hanno reso impossibile attività virtuose come allevamento e agricoltura”

Dichiarazione tratta dall’articolo della testata Alto Adige

Appare evidente che il ministro, probabilmente preso dalla foga oratoria o forse per una conoscenza superficiale del mondo naturale, sia scivolato in un commento da bar sport. Motivato anche dalla voglia di piacere a una platea fatta di agricoltori e allevatori, che volevano avere la certezza del significato di sovranità alimentare. Che sembra potersi riassumere nel concetto “prima agricoltori e allevatori, poi animali e ambiente“. Così al ministro sfugge che fra estinzione e sovrappopolazione, non ci sta la sovrabbondanza, ma l’equilibrio. Senza il quale l’uomo in un tempo breve rischia di estinguersi come i dinosauri per una politica incapace di comprendere la necessità di avere visione, basata sul futuro e non soltanto su domani.

Orsi e lupi sono sovrabbondanti solo nelle parole in libertà del neo ministro Lollobrigida

Solo pochi mesi fa si è concluso il monitoraggio sulla popolazione dei lupi nel nostro paese, che ha fornito il quadro sulla presenza del predatore su tutto il territorio dello stivale. Una popolazione che si è diffusa, grazie all’aumentato numero di ungulati selvatici che costituiscono le loro prede principali. Come hanno capito anche molti allevatori. Le predazioni fatte dai lupi sugli animali domestici sono quasi tutte dovute a una mancata vigilanza sugli animali al pascolo, al non uso dei sistemi di protezione come cani da guardiania e recinti elettrificati. Eventuali perdite subite dagli allevatori sono comunque indennizzate, anche quando questi non utilizzano nessuna attività di prevenzione.

Appare quindi grave che un ministro, che deve sempre mettere al centro della sua azione la collettività e non solo alcune categorie, pronunci concetti così sconnessi. Dalla realtà, dal suo ruolo ma, soprattutto dai criteri scientifici che affermano da tempo che la salute del pianeta è indissolubilmente legata con equilibrio e tutela ambientale. Senza poter dimenticare, nelle parole del ministro, quel riferimento alle attività virtuose come l’allevamento, che sono invece responsabili di buona parte dei problemi ambientali. Che si affacciano ogni giorno con sempre maggior prepotenza e che non saranno tenuti a bada con le chiacchiere.

La tutela ambientale non è prioritaria per il governo, come si capiva già prima della sua formazione e dalle prime attività messe in campo. Come la ripresa di nuove trivellazioni in Adriatico per sopperire alle problematiche venutesi a creare con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Un’idea scellerata, considerando che l’idea per un futuro in grado di limitare le emissioni non passa attraverso il gas. Che può essere un’energia di transizione, ma non una scelta per il futuro energetico italiano o planetario. Che senso ha, quindi, aprire nuovi pozzi che entrerebbero in funzione fra anni?

La tutela ambientale e l’aumento della sostenibilità delle attività umane rappresenta l’unica luce in fondo al tunnel

I cittadini dovrebbero pretendere che le priorità dell’esecutivo siano quelle che sono al centro delle preoccupazioni di tutta la comunità scientifica. Non è più tempo di demagogia, frasi a effetto e di facile ricerca del consenso, occorre agire con provvedimenti urgenti e di buon senso. Anziché preoccuparsi dei lupi o degli orsi, ministro Lollobrigida, si preoccupi di rendere l’agricoltura ecosostenibile e di puntare a una progressiva riduzione degli allevamenti di animali. Non si possono più sentire sempre le stesse argomentazioni, vuote e senza verità, perché chi governa in questi tempi burrascosi, ha il dovere di garantire il futuro alle prossime generazioni.

Il clima da costante campagna elettorale, le dichiarazioni prive di contenuto e i provvedimenti che non contengano, anche, criteri di sostenibilità ambientale sono fuori dal tempo. Non soltanto perché hanno mortificato in anni e anni, sotto governi di ogni colore, il nostro paese, ma anche perché il tempo delle scelte è finito. Ora c’è soltanto il coraggio delle decisioni, responsabili e prese in nome del bene comune, per l’intera comunità umana.

Abbattere l’orso M62 è una scelta che sigilla il fallimento doloso di un progetto pagato dalla collettività

Abbattere l'orso M62

Abbattere l’orso M62, un fatto che pare ineluttabile, pone il sigillo dell’amministrazione trentina sul fallimento del progetto di reintroduzione degli orsi. Forse non sotto il profilo della conservazione della specie, considerando che la popolazione ha avuto un incremento, ma sulla gestione complessiva. Sulla totale assenza di misure preventive per ridurre i conflitti e sull’informazione ai residenti per costruire consenso, anziché stendere praterie d’odio.

Cani falchi tigri e trafficanti

Per fare una valutazione serena del fallimento occorre separare i diversi piani che lo compongono, cercando di non cadere nella trappola emotiva della simpatia. Sicuramente in questa vicenda è difficile non sentirsi accanto all’orso, a tutti gli orsi, privati del loro territorio, costretti in un grande recinto dal quale faticano a uscire. Vessati da amministrazioni che prima li hanno voluti e poi li hanno usati come strumento politico per ottenere consensi. Ma se il ragionamento seguisse questa strada potrebbe essere facilmente etichettato come sentimentalismo o animalismo estremo.

Nella storia di questo progetto se qualcuno ha cavalcato l’emozione non sono stati certo gli animalisti, ma quelli che hanno usato l’argomento orsi, e predatori in generale, per fomentare la popolazione. Suonando la grancassa dell’allarmismo, del populismo più becero che vuole il Trentino dei trentini e chiama alle armi contro le scelte nazionali. Inventando pericoli inesistenti, ben prima che si manifestino e diventino reali. Un piano di comunicazione ben strutturato e pensato per raccogliere voti, per nascondere sotto il tappeto le inefficienze.

Abbattere l’orso M62 metterà la pietra tombale sulla convivenza, agitando lo spettro di pericoli imminenti

Il Trentino non è una terra emersa di recente, che ha cambiato panorama e orografia del territorio. Il Trentino è da sempre terra molto antropizzata, con un’agricoltura che ha coltivato ogni spazio coltivabile a mele e vigneti, con uno sviluppo turistico che ha fatto costruire piste da sci su ogni crinale. Con infrastrutture che hanno tracciato sul territorio un reticolo di ostacoli insormontabili per gli animali, limitandone gli spostamenti e mettendo in pericolo anche la circolazione stradale.

Per non parlare della caccia, che viene vista come un’attività immodificabile e intoccabile. Ma anche per l’allevamento negli alpeggi, da troppo tempo lasciati incustoditi per contenere i costi e aumentare i guadagni. Un’agricoltura drogata dalle sovvenzioni europee, senza le quali sarebbe più che in ginocchio. Altro che lupi, altro che orsi. In questo racconto, che ritengo obiettivo e difficilmente contestabile, si introduce il LIFE che ha portato a reintrodurre dalla vicina Slovenia gli orsi.

Non voglio far credere di essere un esperto, cerco solo di seguire un filo conduttore neutro, fatto di osservazioni e ripulito dall’emotività. Gli orsi sloveni non erano destinati a fare del Trentino un santuario per gli orsi, ma dovevano ripopolare il territorio centro orientale dell’ arco alpino. Questo fatto è accaduto? No! La motivazione pare essere nel comportamento dei plantigradi, che specie per quanto riguarda le femmine sono poco inclini a spostarsi sul territorio. Un comportamento denominato “filopatria”, cioè la tendenza a restare nei territori dove sono nate.

I lupi attraversano l’intero stivale e colonizzano sempre nuovi territori, ma gli orsi non lo fanno

Se guardiamo il comportamento e la capacità di dispersione dei lupi e lo mettiamo in relazione con quello degli orsi, siamo facilmente in grado di capire la differenza. I primi sono partiti per la riconquista dalle terre centro meridionali, dove si erano acquartierati per superare le persecuzioni, arrivando alle Alpi per poi collegarsi con le popolazioni francesi. Gli orsi non hanno raggiunto il Trentino dalla Slovenia. Ce li abbiamo dovuti mettere, trasportandoli. Eppure si trovavano a un tiro di schioppo, e mai paragone fu più appropriato, purtroppo.

A questo fatto, noto, bisogna aggiungere che per le ragioni espresse in precedenza, il territorio del Trentino rappresenta per gli animali una trappola da cui è difficile uscire, in assenza dei corridoi faunistici. Complicando gli spostamenti dei selvatici: una carenza che rappresenta un problema e non agevola la mobilità, non solo delle femmine di orso già poco inclini ai viaggi. E già questo è il primo punto fallimentare sotto il profilo dell’efficacia del progetto.

Gli orsi, voluti prima ma osteggiati quasi subito, gettano scompiglio fra gli allevatori, abituati a lasciare gli animali nelle malghe incustodite. Senza protezioni adeguate, senza recinti elettrici che siano effettivamente in grado di difendere gli animali dai predatori. Ma la politica non vuole dire agli allevatori che i tempi sono cambiati, che per l’equilibrio naturale bisogna convivere e condividere. Gli amministratori cavalcano la protesta e così gli originari padroni del territorio vanno limitati, imprigionati, abbattuti.

Costa meno fatica fomentare l’odio che progettare la convivenza

Non solo la realtà del periodo e la necessità di ricreare un equilibrio vien rifiutata, ma anche i rifiuti vengono lasciati alla mercé della fauna selvatica, orsi compresi. E sono proprio i rifiuti la causa della classificazione dell’orso M62 come problematico. La mancanza dei cassonetti per la raccolta dei rifiuti, studiati e testati per non essere accessibili agli orsi, rappresenta per i plantigradi un’attrattiva molto forte. Come già successo con il fratello di M62, l’orso M57 tuttora detenuto a Casteller per aver avuto una scaramuccia con un umano, proprio vicino ai cassonetti dei rifiti.

Solo in queste settimane la PAT sta tentando di nascondere vent’anni di ritardi, mettendo nuovi contenitori, spesso nemmeno idonei a impedire l’accesso degli orsi ai rifiuti. Quindi se un orso si avvicina troppo ai centri urbani per questo motivo ritengo che dovrebbero essere classificati come problematici solo gli amministratori che hanno causato il problema.

Colposamente hanno agevolato comportamenti indesiderati, al pari degli allevatori che lasciano gli animali incustoditi. Per coprire ritardi e inefficienze, ma anche per evitare critiche sulle condizioni di cattività degli orsi, si decide che sia meglio abbattere quelli problematici. Una scorciatoia, che prevede la scelta di affrontare le critiche che esploderanno ma che, complice anche l’estate, dureranno probabilmente meno di quelle causate dalla carcerazione. Dire cosa sia meglio effettivamente per gli orsi, fra morte e prigionia a vita, è davvero difficile. Sicuramente la scelta migliore sarebbe lasciarli nei boschi.

Quale futuro per la pacifica coesistenza fra uomini e animali

Quando si è deciso di abbattere l’orso M62 è stato sancito il fallimento della convivenza, della possibilità di creare le condizioni per tutelare umani e animali nel loro insieme. Secondo una visione olistica della gestione ambientale e faunistica. Un danno che potrebbe essere irreparabile. Causato non dagli orsi ma da amministratori incapaci di assolvere ai loro compiti. Che seppur con diverse appartenenze politiche hanno mantenuto comportamenti ricchi di analogie.

Difficile poter prevedere cosa succederà dopo quest’ultima decisione, difficile anche credere che ci saranno prese di posizione a livello nazionale. Forse sarà brutto pensare che un orso conti poco rispetto al governo, di cui la Lega è parte, ma bisogna anche guardare la realtà delle cose. In politica nulla avviene per caso e non sarà certo Matteo Salvini a fare pressioni su Fugatti perché si fermi.

La coesistenza tanto sbandierata, la necessità di seguire politiche realmente di tutela dell’ambiente, di arretramento della presenza umana da molte aree naturali, al momento in Italia è come una quinta teatrale. Nasconde la realtà e non promette nulla di buono per il futuro.

Scegliere di convivere con gli animali selvatici non è una scelta, ma una necessità

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Scegliere di convivere con gli animali selvatici non rappresenta soltanto un’opzione, ma una necessità per il mantenimento degli equilibri. Un comportamento che deve essere attuato per tutelare la fauna, ma certamente non solo per questo motivo. La creazione di un rapporto armonico con la natura è inevitabilmente la via maestra per tutelare la nostra sopravvivenza. Se non arriviamo a comprendere l’importanza della convivenza rischiamo di non avere un futuro, sicuramente di non averlo sereno. Un errore che sconteranno le nuove generazioni.

Cani falchi tigri e trafficanti

Orsi, e lupi, rappresentano un banco di prova per una rivoluzione culturale, che non può più anteporre gli interessi umani a ogni altra considerazione. Rappresentano una sfida, quanto lo è sempre stato il rapporto in generale con i predatori. Per questo il cambiamento di passo può prendere avvio proprio da questo rapporto conflittuale da molto, troppo tempo. Iniziare con le situazioni più problematiche rappresenta un buon viatico per una risoluzione molto più ampia dei problemi ambientali. Per evitare che i cambiamenti siano ancora una volta di facciata e non contemplino soluzioni che mirino al cuore delle questioni sul tavolo.

Quando si parla di convivenza occorre ricordare la biunivocità del termine: convivere significa dividere spazi e diritti, creando situazioni armoniche. L’idea che questa situazione possa essere basata sul predominio degli interessi umani rappresenterebbe un errore irrimediabile. Abbiamo bisogno di reinventare un mondo nel quale la nostra specie non pensi di poter risolvere costantemente i problemi creando conflitti. Lo abbiamo fatto con gli uomini, quasi mai riuscendo a raggiungere gli scopi prefissati, lo facciamo da sempre con il regno animale.

Scegliere di convivere con gli animali selvatici significa avere la volontà di restituire territori

Con il piano di #GenerationRestoration è stato chiesto a livello mondiale di restituire alla natura circa un terzo delle terre emerse e degli oceani. Per quanto riguarda le terre non possiamo pensare di restituire e rigenerare solo quelle improduttive, ma dobbiamo fare valutazioni più ampie. Che devono comprendere soluzioni intelligenti, prive di pregiudizi, sulla condivisione dei territori. Fino a poco prima dell’inizio della sesta estinzione di massa l’uomo era abituato a difendere le sue proprietà dagli altri animali, con recinti, vigilando sugli animali al pascolo. Poi dalla difesa l’uomo è passato all’attacco e con ogni sistema possibile ha provato a sterminare i predatori.

Abbandono delle campagne, diversificazione dello sfruttamento della montagna, intensificazione degli allevamenti intensivi e delle popolazioni di prede hanno consentito nuove ricolonizzazioni del territorio. Unitamente alla messa in atto di progetti di ripopolamento, come quello avvenuto per gli orsi in Tentino. Mentre il ritorno del lupo è stato graduale e del tutto spontaneo. Ma dal tempo della riconquista dei territori con lupi e orsi sembra essersi aperto un conflitto permanente che non ha né vinti, né vincitori.

Il bracconaggio, gli investimenti stradali e le altre azioni che minano la convivenza con i carnivori non riescono, per fortuna, a mettere seriamente in pericolo le popolazioni. Questi animali godono di un livello di protezione, che seppur minimo, non consente più le stragi di un tempo. Quando tutti i predatori erano considerati nocivi e potevano essere uccisi con ogni mezzo e in ogni tempo. Ora però servono strategie nuove e diverse, non basate su abbattimenti e catture ma sulla restituzione di territori e sulla difesa delle aree sfruttate dall’uomo. Ma anche sulla diffusione delle attività di prevenzione, per evitare che i nostri errori nella gestione delle risorse alimentari, diventino una causa di conflitti.

Il Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha delegato la problematica all’ISPRA

Secondo un recente articolo comparso sull’Adige il ministro Cingolani ha lasciato la questione degli orsi trentini, ma non solo, in mano ai tecnici dell’ISPRA. Gli stessi che avevano già contribuito in modo rilevante alla gestione dei carnivori, ottenendo risultati non sempre lusinghieri, specie per quanto concerne le questioni degli orsi trentini. Dando, ad esempio, una valutazione positiva alla struttura del centro di Casteller, dove sono stati rinchiusi tutti gli orsi sopravvissuti alle catture. Una realtà oggetto di forti critiche non solo delle associazioni di protezione degli animali ma anche da parte dei Carabinieri della CITES, mandati a fare un’ispezione dall’allora ministro Sergio Costa.

Secondo quanto riportato dall’organo di stampa il ministro Cingolani ha proposto all’amministrazione del Trentino la creazione di una grande area recintata per la custodia degli orsi problematici. Dichiarando che l’idea degli abbattimenti degli orsi lo faccia inorridire. Mentre saperli in questo momento rinchiusi, senza reali motivi, nel centro di Casteller in condizioni di maltrattamento non pare suscitare le stesse emozioni rispetto agli eventuali abbattimenti. Senza considerare che per un orso di cattura la prigionia possa essere anche peggiore della morte.

Io ho un background un po’ diverso anche per origine professionale. A casa ho gatti, pappagalli, cani. A me gli animali piacciono moltissimo, ma mi rendo conto che in questi casi trovare un equilibrio fra la salvaguardia dell’animale, che ha diritto alla sua libertà, e la sicurezza delle persone è molto complesso. Mi dicevano al mio Dipartimento che la soluzione che è stata trovata è buona, quindi spero che sia buona. Io penso che la prima cosa è garantire che non ci siano rischi per le persone. Dall’altra, però, anche agli animali va creato un habitat più ampio dove siano liberi di muoversi, ma con la sicurezza per noi bipedi che ci viviamo intorno.

Dichiarazioni attribuite al ministro Roberto Cingolani pubblicate sull’Adige nell’articolo linkato.

Prima di progettare nuovi centri di detenzione sarebbe molto meglio investire in prevenzione

Se si vogliono trovare dei rimedi efficaci occorre modificare le politiche, considerando che quelle attuali hanno dato cattivi risultati. Senza essere riuscite a incidere sul problema. Sarebbe quindi necessario creare una to do list, basata sulle priorità reali e non su quelle elettorali. La prima delle quali è la messa in sicurezza dei rifiuti su tutto il territorio frequentato dagli orsi, con una zona di rispetto di almeno una decina di chilometri. Il secondo punto da attuare è la creazione di corridoi faunistici sicuri, per consentire alla fauna di potersi spostare. Il terzo e non meno importante sono le campagne di informazione, che devono essere efficaci e capillari.

Tutti sanno che nel progetto originario gli orsi liberati in Trentino avrebbero dovuto ripopolare l’intero arco alpino. Un’ipotesi che è restata tale anche per l’assenza dei corridoi faunistici. Un progetto dovrebbe prima attuare le necessità preliminari e, solo dopo averlo fatto, dovrebbe essere avviato. Per evitare che tutte le attività non portate a termine rappresentino un ostacolo insormontabile all’effettiva realizzazione, nonostante i molti fondi impegnati dalla Comunità Europea e, dunque, dalla collettività. Ma così non è stato.

Gli errori di percorso costituiscono una mina difficile da disinnescare, capace di far saltare in aria tutti i progetti di tutela ambientale e faunistica. Se riusciremo a comprendere gli errori del passato, chiamandoli con il loro nome, avremo migliori possibilità di non ripeterli in futuro. Gestendo i progetti di convivenza secondo modalità realistiche e possibili.

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