Combattimenti fra cani: sgominata gang ma occorre potenziare la normativa sul maltrattamento

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Combattimenti fra cani: sgominata gang che operava nel Nord Italia per arrivare a far combattere i cani fino in Serbia. Dove sembra non essere così difficile aggirare i divieti in materia, dove queste lotte avvengono con regolarità. Lo rivela un’inchiesta condotta dalla Procura di Sanremo, che scoperchia un calderone fatto di maltrattamenti, droghe e sostanze proibite e complicità. Senza poter scordare il solito fiume di denaro che scorre sempre alimentato dai cimini contro gli animali.

L’indagine è stata condotta dalla Squadra Mobile della questura di Imperia ben sette anni fa, come rivela un articolo pubblicato in questi giorni su La Stampa. Un tempo davvero lungo che rischia di non lasciare spazio a condanne definitive. Il tempo trascorso dalla commissione dei reati, che finiranno sul tavolo del GUP di Imperia il 17 aprile, rischia di vanificare lo sforzo investigativo. Calcolando i tempi per la prescrizione di molti reati introdotti dalla riforma, che impedirà quasi certamente che possano arrivare al terzo grado di giudizio.

Reati molto gravi, con una serie di aggravanti, che sono costati indicibili sofferenze agli animali impiegati nei combattimenti. Si va dall’associazione per delinquere al maltrattamento di animali, dal falso al divieto di combattimento e all’uso di sostanze dopanti. Questa non è la prima indagine che avviene sul territorio italiano che vede la definizione di una rete criminale che arriva nei paesi dell’area balcanica. Il fenomeno, pur essendo riservato a un pubblico molto ristretto, muove grandi interessi economici. Legati ai profitti derivanti dalle scommesse clandestine. Gestite da organizzazioni mafiose che usano i combattimenti fra animali per fare soldi facili, con rischi limitati.

cani falchi tigri e trafficanti

Combattimenti fra animali, la gang sgominata rischia molto poco visto il tempo trascorso e le normative in vigore

La notizia dell’udienza davanti al GUP di Imperia Anna Bonsignorio ha suscitato abbastanza scalpore sui media. I fatti sono molto gravi e il numero delle persone coinvolte nei combattimenti clandestini, individuati dalla Polizia di Stato, è rilevante. Ma questo probabilmente non basterà per ottenere davvero giustizia. In alcuni casi l’assenza di condanne potrebbe consentire a figure professionali, come i veterinari coinvolti, di continuare il loro lavoro come se nulla fosse successo.

Chiunque si sia interessato di combattimenti fra animali ha un’idea ben precisa di quanto questi eventi siano cruenti. Ci si indigna per molti maltrattamenti, terribili, ma probabilmente si fatica a comprendere le violenze a cui viene sottoposto un cane da combattimento. A partire dall’addestramento, al potenziamento della muscolatura per arrivare alla desensibilizzazione al dolore, a un’aggressività incredibile nei confronti dei conspecifici. Grazie a sevizie, botte, collari elettrici, antidolorifici e sostanze dopanti.

Questa violenza, subita dal cane senza possibilità di difesa, può essere tollerata e vissuta solo da una persona priva di scrupoli, di empatia e della minima compassione. Criminali che sono feccia umana, che non provano pietà nei confronti di uomini e animali, a loro volta dopati dall’adrenalina dei combattimenti e delle scommesse, dei soldi che scorrono a fiumi, come se trafficassero droga. Uomini che hanno una grande capacità criminale, imprenditoriale e organizzativa, che denota un’intelligenza messa al servizio del malaffare, sulla quale bisognerebbe fare delle riflessioni.

Organizzare, fiancheggiare o assistere a combattimenti criminali è un segnale di pericolosità sociale da tenere sotto stretto controllo

Nei crimini contro gli animali il legislatore, sino ad oggi, ha punito il reato ma non ha pensato alla necessità di misure di controllo. Per tutelare la società da persone capaci di commettere reati violenti, con crudeltà che non possono essere sottovalutate solo perché commesse su animali. Uomini, che come sembra poter accadere in questa inchiesta, restano mostri a piede libero, non sottoposti a misure di prevenzione e di interdizione. Che sarebbero previste se il legislatore avesse contezza dell’argomento.

La violenza è spesso soggetta a pesi e misure diverse, a seconda dei luoghi, delle vittime e dei contesti, senza spesso preoccuparsi che il problema è la “qualità” e nn il soggetto verso la quale è rivolta. Chi è disponibile ad assistere a un combattimento all’ultimo sangue fra cani, non è un bullo di periferia, ma una persona priva di valori morali tanto da compiacersi di fronte alla violenza. I latrati, l’odore del sangue, gli occhi… Queste persone sono potenzialmente pericolose, vanno assoggettate a misure di prevenzione come l’obbligo di firma e di dimora, il divieto di possedere e svolgere lavori con soggetti fragili come minori, diversamente abili, anziani, animali. Per sempre o almeno sino a quando un giudice non valuti l’efficacia di un serio percorso riabilitativo.

Lo dice la scienza, lo suggerirebbe il buon senso per tutelare uomini e animali. Chi sevizia un animale non compie un reato minore, ma mette in atto un crimine efferato, grave e pericoloso. Per questo occorre cambiare la normativa, ribaltare la visione comune che normalmente si ha nei confronti dei reati violenti ai danni degli animali. Per atti molto meno gravi, sotto il profilo della reale pericolosità sociale, sono stabilite misure di prevenzione importanti, ora occorre che in questo novero di misure vengano fatti rientrare anche i reati violenti verso gli animali. Senza sconti, senza possibilità di prescrizione.

Maltrattamento animali e processo penale, la modifica potrebbe falcidiare i processi

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Maltrattamento animali e processo penale: con la riforma potrebbero aumentare le sacche di impunità per chi compie crimini contro gli animali. La tanto discussa modifica della procedura penale potrebbe far estinguere molti processi, sia per intervenuta prescrizione che per durata degli stessi. Un rischio che riguarda tutti i reati, evidenziato in modo molto netto da figure di spicco della magistratura inquirente. Che non hanno esitato a parlare di falcidie dei procedimenti penali e di impunità assicurata per molti criminali,

Cani falchi tigri e trafficanti

Se le previsioni sono a tinte fosche per quanto riguarda i procedimenti per reati di mafia e corruzione non è difficile immaginare cosa potrebbe succedere ai reati considerati “minori”. Minacciati dalla prescrizione, ma anche dalla durata massima dei riti che la nuova riforma potrebbe stabilire, rendendo molto difficile poter arrivare a una condanna definitiva. La giustificazione è quella di ridurre i tempi della giustizia penale, che in Italia sono inaccettabili: un obbligo che ci viene giustamente imposto dall’Europa.

Ma se la riduzione delle tempistiche è sacrosanta lo è altrettanto avere certezza della pena e colpevoli puniti. In un paese in cui la prescrizione già è causa di un diritto all’impunità dei responsabili. Eliminare la prescrizione significherebbe impedire tutte quelle strategie processuali che dilatano all’infinito i tempi. Fin troppo spesso l’obiettivo dei bravi avvocati, quando difendono imputati con scarse possibilità di cavarsela, è proprio quello di raggiungere la prescrizione.

Il maltrattamento di animali nel processo penale è quasi sempre considerato un reato minore

Avendo operato nel contrasto dei crimini contro gli animali, da prima dell’attuale norma che regola il procedimento penale, posso affermare con certezza che la normativa vigente è piena di “trappole” che dilatano i tempi. Come la necessità di formare la prova in aula, senza che chi giudica possa avere accesso agli atti non irripetibili compiuti dalla Polizia Giudiziaria. Una modalità di svolgimento del processo che complica la fase processuale, costringendo alla citazione di un gran numero di testimoni che dovranno ripercorrere azioni fatte anni prima. Di cui potrebbero ricordare poco o nulla, se non hanno redatto atti impeccabili.

Già oggi, con l’attuale normativa, in tribunali oberati di procedimenti, si può dire senza tema di smentita che almeno un terzo dei procedimenti relativi a maltrattamenti di animali vadano prescritti. Alcune volte già durante il primo grado, altri nel tempo che intercorre nei tre gradi di giudizio. Il risultato è che i procedimenti particolarmente complessi, come quelli relativi al traffico dei cuccioli e alla contraffazione dei documenti, spesso portano soltanto a condanne di primo grado.

Specie quando gli imputati, grazie ai proventi generati dal reato, possono assicurarsi un buon numero di bravi avvocati e consulenti. Che riescono a allungare i tempi del procedimento, anche usando banali errori di forma come spesso avviene per le notifiche. Per arrivare ala fatidica prescrizione che, di fatto, estingue i reati. Spesso mettendo in pericolo anche gli animali sequestrati durante le operazioni che in caso di prescrizione vengono quasi sempre restituiti agli indagati.

La riforma non deve essere uno strumento per garantire impunità, ma deve portare a una modernizzazione della macchina della giustizia

I nostri tribunali sono costantemente sotto organico: mancano pubblici ministeri, assistenti, cancellieri e giudici. Senza scordare che ancora oggi i fascicoli viaggiano spesso su carelli spinti dai commessi piuttosto che sulla rete. L’informatizzazione è parziale in ogni complesso passaggio giudiziario e sono proprio queste strozzature che allungano a dismisura i tempi della giustizia.

Intervenire sulla durata dei processi, limitando i tempi per poterli svolgere e lasciando in vigore la prescrizione non è una soluzione, ma solo una toppa messa a un sistema vecchio e logoro. Una scorciatoia per poter adempiere alle richieste dell’Europa, cercando di nascondere ai cittadini che la politica ha sempre reso complicato il lavoro giudiziario, invece che agevolarlo. Negando che la colpa delle lungaggini sia da cercare in chi legifera e non in quanti applicano le leggi.

Se questa riforma si dovesse realmente definire con i contorni che si stanno delineando il maltrattamento di animali e tutti gli altri i crimini commessi rischiano di restare impuniti. Con buona pace di chi dice che la riforma aggiusterà tutto. Insieme ai delitti contro gli animali rischiano di finire impuniti anche i crimini contro l’ambiente e tutti i reati contravvenzionali, caccia compresa, che hanno già tempi di prescrizione più brevi.

Abbiamo bisogno di avere una giustizia efficace, che sia in grado di ristabilire un reale potere di deterrenza contro il crimine

Da cittadino che ha frequentato tribunali e procure dico che questa idea di riforma non mi piace. E non lo dico soltanto per essere stato dalla parte dell’accusa perché negli anni, per le mie attività, sono stato anche indagato e processato. Per reati non commessi, però so perfettamente cosa voglia dire stare sul banco degli accusati, e quanto non sia piacevole, specie da innocenti. Ma questo non può vedermi favorevole al sacrificio della giusta applicazione della norma, sull’altare della velocità del procedimento.

La prescrizione e l’improcedibilità velocizzeranno i tempi di una giustizia volutamente asfittica, costretta a fare valutazioni già oggi su chi mandare sotto processo. In Italia l’azione penale sarebbe obbligatoria, ma il carico di lavoro obbliga le Procure a fare delle scelte, con i pubblici ministeri sommersi dai fascicoli, E così finisce che l’azione penale resta obbligatoria solo sulla carta, e questa non è giustizia.

Si potrebbe pensare di agire sulle denunce contro ignoti, che intasano gli uffici giudiziari anche quando la speranza di identificare il responsabile è nulla. Per non parlare delle notifiche, dei riti processuali, di un’informatizzazione carente e non omogenea. Se questa ipotesi di riforma passasse con i contorni che si delineano la tutela di animali e ambiente sarà sempre più lontana e meno efficace. Ma anche la possibilità di ottenere giustizia per i cittadini.

Maiali maltratti responsabili processati, ma grazie all’esiguità della pena, ancora una volta, il crimine paga

Maiali maltratti responsabili processati

Maiali maltratti responsabili processati dal Tribunale di Cremona, ma con un patteggiamento i due imputati ricevono una condanna simbolica. Dopo la denuncia della LAV e le ispezioni dei Carabinieri del NAS i due titolari dell’allevamento sono stati indagati, ma a processo se la sono cavata con una multa. Esattamente 9.000 euro complessivi. Ben poca cosa rispetto ai guadagni derivanti dall’attività di allevamento. Praticata maltrattando gli animali.

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Pene che non lasciano il segno, non servono da deterrente, anzi dimostrano che il crimine paga. Costa meno una sanzione e un processo piuttosto che adeguare gli impianti. Che nel corso degli anni avranno garantito ingenti guadagni. Ottenuti sulla pelle degli animali, di migliaia di animali che saranno passati da quell’allevamento. Certamente verificato e autorizzato dal servizio veterinario pubblico. Una storia che si ripete in ogni angolo della penisola e che, percentualmente, solo poche volte arriva nelle aule di giustizia

Da quel che è dato di conoscere alla multa non è seguita la confisca degli animali oggetto del maltrattamento. Che anche se già macellati avevano un numero di soggetti identificabile: quello rinvenuto durante l’ispezione dei NAS che ha portato alla condanna. Che avrebbe potuto portare a una quantificazione economica equivalente, considerando che resta obbligatoria la confisca degli animali maltrattati. Causando, se applicata, un effettivo danno agli allevatori, e questo si avrebbe potuto costituire un deterrente. Per quanti maltrattano gli animali per ottenere maggiori profitti.

Maiali maltratti responsabili processati, ma se non c’è danno economico per chi maltratta serve a poco una condanna

Bisognerà attendere la pubblicazione della sentenza per capire esattamente le motivazioni del giudice. Ma se già la legge è troppo blanda, specie per chi sullo sfruttamento degli animali ci campa, sentenze come questa lasciano, seppur probabilmente corrette, l’amaro in bocca. Troppe volte mancano sul banco degli imputati quanti avevano il dovere di controllare, compreso il veterinario aziendale che aveva l’obbligo di denunciare i maltrattamenti.

Quando una gran parte delle situazioni che creano sofferenza sono causate dalle strutture, dalla densità e dalle modalità di allevamento è difficile credere che non siano state rilevate. Da chi aveva il dovere di garantire condizioni di vita minime, che rispettino almeno i già scarsi parametri di legge. Questa è la vera cause delle continue scoperte, da parte delle associazioni, di allevamenti lager: chi deve controllare spesso non lo fa con la dovuta severità, ma usando il metodo “così fan tutti”.

Purtroppo servirà a poco inasprire le pene per chi maltratta gli animali, se non verranno previste sanzioni più pesanti nei confronti di chiunque agevoli la commissione dei reati legati al maltrattamento. Esiste infatti una verità che non può essere smentita: ogni azienda ha un proprio veterinario e quest’ultimo, come esercente una professione sanitaria ha l’obbligo del referto. Che impone di segnalare all’Autorità Giudiziaria qualsiasi situazione possa costituire reato, anche solo in ipotesi.

Le promesse di modifiche legislative per tutelare gli animali sono molte, ma poi la traduzione in realtà resta troppo spesso una speranza

Nonostante una revisione della legge sembri imminente, manca sempre l’effettiva svolta. E le promesse modifiche restano per gli animali un miraggio che non riesce a tradursi in reali e maggiori tutele. L’errore è stato, da sempre, quello di consentire di allevare animali guadando principalmente al profitto e raramente a condizioni di vita minime e accettabili. Così con l’andare del tempo sono state rese legali una serie di attività e condizioni di allevamento che, pur legali, costituiscono una sofferenza costante.

I moderni allevamenti, come scritto più volte, sono diventati fabbriche di proteine, costruite senza tenere conto dei bisogni degli animali. Lo scopo è quello di produrre sempre di più e a prezzi sempre più bassi, quelli che permettono di far arrivare sugli scaffali carne che costa pochi euro al chilo, al lordo però delle sofferenze pagate dagli animali allevati. Una realtà che molti, troppi, non vogliono vedere. Come non vogliono conoscere i danni ambientali che questo insostenibile consumo di carne provoca. Un cambiamento che sarà invece indispensabile se non vogliamo avere un futuro dove le pandemie saranno sempre più frequenti.

La speranza, sempre più concreta, è che si diffonda la carne prodotta in laboratorio, capace di creare fonti proteiche senza sofferenza, ma anche senza causare danni ambientali. Questo è il futuro, come dimostra il fatto che sempre più investitori stiano finanziando ricerca e produzioni sperimentali. Che ci libererà per sempre dalla crudeltà e dalla sofferenza che per profitto abbiamo inflitto a miliardi di esseri viventi.

Il binomio criminalità e animali è una realtà molto più presente di quanto si immagini

binomio criminalità e animali
Foto di repertorio

Il binomio criminalità e animali è una realtà molto più presente di quanto le persone possano immaginare. Questa volta sotto gli occhi degli inquirenti è finita un’organizzazione mafiosa, che fra i tanti reati organizzava corse clandestine di cavalli. Per questa ragione la Direzione Distrettuale Antimafia di Messina, guidata dal Procuratore Maurizio De Lucia, ha disposto una serie di misure cautelari. Che nella notte hanno portato all’arresto di 33 persone, da parte dei Carabinieri della locale compagnia.

cani falchi tigri e trafficanti

L’organizzazione mafiosa sembra facesse capo al clan Galli di Messina, che aveva a sua volta stretto accordi con il clan Santapaola di Catania. Così venivano organizzate le corse clandestine su strada, per le quali purtroppo la Sicilia è particolarmente famosa. Anche perché tutto questo mondo gode di grandi complicità, di stalle clandestine dove ricoverare i cavalli, di fantini. E di un robusto servizio d’ordine capace di chiudere intere strade per consentire lo svolgimento delle corse.

Un’organizzazione complessa che, come sempre accade quando parliamo di criminalità organizzata, genera e distribuisce ricchezza sul territorio. Comprando così molte persone e generando una vasta rete di complicità, anche eccellenti, costituita da colletti bianchi che “lavorano” in questo settore. Così in manette è finito anche un veterinario che curava e dopava i cavalli per ordine dei clan mafiosi.

Gli animali generano grandi profitti e per questo il binomio criminalità e animali è così diffuso

Dalle scommesse clandestine la mafia genera grandi profitti, che creano una provvista di soldi freschi e non tracciabili, utili a garantire il controllo del territorio. Ma molte altre sono le attività lucrose, perché le mafie non trascurano nessun settore sul quale possono lucrare. Come la macellazione clandestina di cavalli e bovini, che rappresenta un fenomeno criminale molto presente, con gravi rischi sanitari per la popolazione. Il crimine non si preoccupa di far visitare gli animali sotto il profilo sanitario: li ruba, li traffica, li macella e li immette sul mercato, con la complicità talvolta anche di negozi autorizzati.

Di questo fenomeno si erano occupati i bravi poliziotti della “squadra dei vegetariani”, tutti in forza al commissariato di Sant’Agata di Militello. Che con una pazienza davvero certosina erano riusciti a ricostruire l’intera filiera del traffico di animali e le reti di complicità che lo avevano agevolato. Ma si sa che la criminalità è come un cancro: muta, si trasforma, si nasconde e rispunta, sotto nuove spoglie. Sono così tanti i crimini contro l’ambiente e gli animali, capaci di produrre enormi profitti, da avere solo l’imbarazzo della scelta.

Molti dei crimini attuati nei confronti degli animali, come ho scritto nel libro “Cani, falchi, tigri e trafficanti“, accadono negli allevamenti di animali da reddito. Nei quali per massimizzare il profitto non ci fa scrupoli nel maltrattare gli animali, facendoli vivere in condizioni deplorevoli. In tutte le fasi della filiera, che passa dagli allevamenti, ai trasporti per concludersi nei macelli. Talvolta con la “complicità” degli organi di controllo, che non vedono o fanno finta di non vedere quanto accade in queste strutture. In alcune occasioni per colpevole superficialità, altre volte per ricompensate omissioni.

Il traffico di animali protetti dalla CITES, sia vivi che morti, rappresenta un enorme fonte di proventi illeciti, generati rubando biodiversità

Sia che finiscano nelle gabbie di qualche collezionista o come ingredienti della medicina tradizionale cinese gli animali protetti muovono grandissimi interessi. Capaci di corrompere non solo alcuni componenti delle forze di polizia deputate ai controlli, ma anche funzionari governativi, ispettori e veterinari. Grazie al potere garantito dal denaro le organizzazioni criminali riescono a far viaggiare attraverso il mondo ogni genere di animale e vegetale protetto. E per ogni sequestro fatto in porti e aeroporti ci sono tonnellate e tonnellate di scaglie di pangolino e avorio, solo per citare due derivati molto trafficati, che raggiungono illecitamente l’Oriente.

Per non parlare degli animali vivi, più complessi da occultare, specie se di dimensioni ragguardevoli, che viaggiano spesso con false certificazioni. Documenti veri nella forma, in quanto rilasciati dalle autorità amministrative dei paesi d’origine, ma falsi nella sostanza per quanto concerne la loro provenienza legale. Un complesso meccanismo che rende difficili i controlli anche nei paesi di transito, che si trovano di fronte a documentazione formalmente ineccepibile. Non potendo sapere che magari il destinatario non esiste o che quello che compare nei documenti come un centro scientifico sia nella realtà un trafficante.

Sino ad arrivare ai cosiddetti pezzi di ricambio: animali protetti ma nati in cattività, che perdono quindi buona parte della loro tutela giuridica. Spacciati, come per esempio è stato ipotizzato per certe tigri delle quali si parla nel libro, per animali ufficialmente destinati a uno zoo chiuso, mentre in realtà erano più probabilmente destinati a diventare preziosi ingredienti usati nella medicina tradizionale.

I crimini contro gli animali si combattono insegnando il rispetto per le vite degli altri

crimini contro gli animali si combattono

I crimini contro gli animali si combattono con la prevenzione: la sola repressione è il fallimento del nostro debito di formare le nuove generazioni. Quando si arriva a colpire i responsabili di azioni crudeli contro gli animali (e non solo) ci si avvicina alla giustizia. Senza riuscire a riparare davvero un danno già commesso. Nulla restituirà vita e dignità a un essere vivente che ne è stato privato, nulla cancellerà la sofferenza dalla sua anima.

Cani falchi tigri e trafficanti

Appare evidente che sia necessario punire i responsabili dei crimini contro gli animali, come i responsabili di ogni reato, di qualsiasi forma di violenza e sopruso. Senza distinzione di specie perché, come detto più volte, il vero nemico è la violenza, senza dare un valore più o meno alto che vari a seconda delle specie su cui è esercitata. E nemmeno sul genere, perché l’essenza negativa della violenza non cambia se la vittima sia maschio oppure femmina.

Per questo è molto importante educare alla gentilezza, al rispetto e alla sensibilità verso gli altri. Sembrano spesso concetti scontati, elementari, quasi certezze della quali non si debba nemmeno parlare. Ma purtroppo non è così perché la nostra società gronda violenza, esercitata, raccontata, messa in mostra. Sia con comportamenti verbali che con un sottile compiacimento nell’esibire il baratro morale che dimostrano certe azioni. Che sarebbe meglio illustrare che non far vedere a ogni costo: la narrazione è più potente, in certi casi, dell’immagine. Ci costringe a arrivare sino in fondo al baratro, non ci da scuse per distogliere lo sguardo.

Molti crimini contro gli animali si combattono esaltando il valore dell’empatia, non esibendo la violenza della crudeltà

Non credo che sia vero che le persone abbiano bisogno di osservare le immagini di uno dei tanti inferni per capirne gli orrori. Liliana Segre, donna che rappresenta un patrimonio culturale cresciuto sull’orlo di un baratro atroce, commuove molto più con il suo racconto di quanto non faccia un’immagine di corpi ammassati. Nella sua voce percepiamo la vita nella sua essenza, l’atrocità e la sofferenza, ma anche una pace dell’anima che ha rifiutato ogni violenza. Compresa quella della vendetta, del voler esercitare la legge del taglione.

Se molti difensori dei diritti degli animali imparassero a toccare il cuore delle persone, rifiutando insulti e violenza, forse qualche passo in più nella cultura del rispetto lo si sarebbe fatto. Invece, per dar libero sfogo alla loro irruente violenza, che è certo diversa ma non per questo migliore, rischiano di non avere ascolto alcuno, se non nelle camere dell’eco (quelle che gli anglosassoni chiamano echo chamber). Luoghi frequentati da simili ma disertati da persone che rifuggono gli odiatori, la violenza verbale e quella visiva.

Il mondo non è mai diventato un luogo migliore dove stare dopo che si è commesso un linciaggio. Niente è cambiato nel sentire di quanti lo hanno commesso né degli spettatori. Si è solo rafforzato l’erroneo compiacimento che sorregge la logica che alla base “dell’occhio per occhio, dente per dente”. Che non è mai servita per far apprezzare la bellezza del rispetto, ma solo a dar valore allo sfogo dei peggiori istinti del nostro lato oscuro dell’anima, intesa in senso laico come essenza dello spirito.

La punizione per un crimine non cambia gli accadimenti ma punisce i responsabili, senza poter cancellare il danno causato

Dopo anni passati a combattere i crimini contro gli animali, cercando di non perdere mai di vista il valore di tutti gli esseri viventi, penso che la condanna dei responsabili rappresenti comunque una sconfitta. Necessaria, auspicabile, giusta ma comunque mai rappresentabile come una vittoria. Ha vinto la giustizia (forse) ma se il fatto è stato commesso ha perso la società. Che ha investito poco in prevenzione e forse ancor meno nella repressione.

Arrestare un bracconiere non riporta in vita gli animali, denunciare un aguzzino non cancellerà mai le sofferenze che ha inferto. E lo Stato troppo spesso non si preoccupa nemmeno di confiscare il profitto che certi reati garantiscono ai criminali. Eppure spesso leggiamo che la giustizia ha trionfato, ma quasi mai discutiamo e proviamo a capire di quanto la prevenzione abbia fallito. Questa domanda in questi giorni me la sono fatta spesso pensando a M49, agli orsi del Casteller: (mal)trattati come fossero cose. non considerati nella loro essenza, nella capacità di provare, solo per fare un esempio, il tormento della paura. Eppure anche in questo caso la prevenzione avrebbe avuto un miglior risultato, con minor sofferenza.

Credo che dovrebbe giungere il tempo in cui il benessere sarà considerato come lo stare bene, in equilibrio con l’ambiente che circonda un essere vivente. Un tempo in cui saranno finalmente applicate senza deroghe le 5 libertà scritte da Roger Brambell e in cui si pensi con più determinazione al diritto alla felicità. Un tempo che veda l’estinzione dei forcaioli e la riproduzione a profusione del buon senso, della compassione e dell’empatia.

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